La politica estera del neonazismo tedesco
Come l'estrema destra tedesca sta creando nuove alleanze transnazionali negli USA, in Ucraina, in Russia e in altri paesi
Nell’articolo che dà il titolo a questo numero di Derrick, Lorenzo Monfregola analizza le alleanze transnazionali e la politica estera della galassia che è oggi considerata la minaccia più pericolosa all’ordinamento costituzionale della Germania, quella del “Gewaltorientierter Rechstextremismus”, “l’estremismo di destra orientato alla violenza”.
Nel secondo articolo, “Dove va la pandemia tedesca?”, Alessandro Ricci continua a ricercare e indagare la realtà della gestione Covid-19 in Germania con un focus sulla variante inglese, il numero di test e le vaccinazioni.
La politica estera del neonazismo tedesco
Lorenzo Monfregola
A inizio febbraio, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, il governo tedesco ha dichiarato che in Germania sono attualmente attivi almeno 4 gruppi Ku Klux Klan. Nel 2019 uno di questi, il National Socialist Knights of the Ku-Klux-Klan Deutschland, è stato oggetto di diverse perquisizioni che hanno portato al sequestro di oltre 100 armi. La presenza del Klan in Germania sarebbe comunque limitata rispetto ad altre realtà dell’estremismo di destra. I servizi segreti interni tedeschi contano oggi 32.000 estremisti di destra attivi nel paese, di cui 13.000 considerati “orientati alla violenza” e quindi parte del cosiddetto Gewaltorientierter Rechstextremismus. In questo scenario il KKK non ha un ruolo predominante, ma rimane tuttavia un fenomeno (passato e presente) analiticamente emblematico di specifiche dinamiche riconducibili a forme di politica estera del neonazismo tedesco. Tutti gli analisti dell’estremismo di destra tedesco conoscono ad esempio alcune foto che risalgono a metà anni ‘90 e che ritraggono dei giovani neonazisti tedeschi vicino a una croce rituale data alle fiamme in perfetto stile KKK. Una delle persone nelle foto è infatti Beate Zschäpe, che sarebbe di lì a poco diventata membro della NSU-Nationalsozialistischer Untergrund, la più sanguinaria organizzazione terroristica di destra in Germania (responsabile tra il 2000 e il 2007 di 9 omicidi a sfondo razziale e dell’omicidio di una agente di polizia). Contando quanto sia stato importante nell’ideologia terroristica della NSU l’esempio di espressioni del white supremacism anglo-americano come il gruppo Blood and Honour o formulazioni come il libro-manuale “The Turner Diaries”, le tracce del KKK nella loro storia sono da sempre considerate più che significative. Si tratta infatti di collegamenti che raccontano bene l’emergere e il consolidarsi nel neonazismo tedesco di una dimensione transnazionale che si rifà alle teorie suprematiste della “razza nordica” germanica, anglosassone e pan-scandinava. Teorie improntate su un suprematismo bianco, protestante o neo-pagano, antisemita e anche anti-cattolico (perché antipapista).
Collegamenti che raccontano bene l’emergere e il consolidarsi nel neonazismo tedesco di una dimensione transnazionale che si rifà alle teorie suprematiste della “razza nordica” germanica, anglosassone e pan-scandinava.
Negli ultimi decenni il dialogo transatlantico dell’estremismo di destra è stato costante: la mitologia nazi e neonazi tedesca è stata prima importata negli Stati Uniti nel Dopoguerra, qui è stata assorbita e rimodellata in base alle necessità del suprematismo bianco americano e da qui è stata poi nuovamente esportata in una Germania in cui, a partire dagli anni ‘70-’80, il discorso suprematista americano è stato sempre più utilizzato in funzione anti-immigrazione. Oggi questa lunga storia di contaminazioni tedesco-anglo-americane non è solo resa evidente dalla presenza del KKK in Germania, ma ha prodotto anche gruppi-network terroristici ultra-moderni come l’Atomwaffen Division (AWD). Chiaramente ispirato al nazismo così come al concetto di “Führerloser Widerstand“ (azioni terroristiche di lupi solitari e/o piccole cellule autonome), AWD è nato negli Stati Uniti nel 2015. Il gruppo si basa sulle dottrine di James Mason (grande vecchio del neonazismo made in USA), ma è da tempo diventato un network internazionale, con importanti ramificazioni proprio in Germania e nei paesi Baltici (dov’è stato dichiarato organizzazione terroristica nel 2020). Il libro “Siege” (1992) di Mason è oggi uno dei libri più citati nella galassia fisica e digitale del neonazismo-suprematismo globalizzato e delle sue nuove declinazioni autoproclamatesi accelerazioniste (cioè che puntano apertamente a un’accelerazione violenta dei conflitti interetnici fino a una apocalittica e sanguinosa guerra razziale contro neri, ebrei, musulmani e altre etnie/comunità/religioni).
La galassia neonazi tedesca, che aveva propagandato per decenni il disprezzo razzista verso i paesi slavi, ha ora ampiamente esteso proprio verso Est la sua ricerca tattica di alleati.
A tutto lo scenario fin qui analizzato, va però ora aggiunto un ulteriore, cruciale, sviluppo. Se per decenni la politica estera del neonazismo tedesco si è soprattutto mossa sul tradizionale asse ideologico-simbolico della “razza nordica”, ora il network neonazi-transnazionale si sta espandendo oltre, principalmente verso l’Europa orientale. Il dato emerge da un dettagliato paper di analisi intitolato „Gewaltorientierter Rechtsextremismus und Terrorismus - Transnationale Konnektivität, Definitionen, Vorfälle, Strukturen und Gegenmaßnahmen“. Pubblicato dal Counter Extremism Project (CEP) Germany, è importante notare come il paper sia stato commissionato nel 2020 direttamente dall’Auswärtiges Amt, il Ministero degli Esteri tedesco (la stessa linea di ricerca è stata poi anche ripresa da un reportage della Zeit dal titolo “Die braune Internationale”). L’analisi mostra come la galassia neonazi tedesca, che aveva propagandato per decenni il disprezzo razzista verso i paesi slavi (ortodossi e cattolici), abbia ora ampiamente esteso proprio verso est la sua ricerca tattica di alleati. Sia i maggiori gruppi di estrema destra tedeschi (NPD, Dritte Weg, Die Rechte, Identitäre Bewegung) sia gruppi più autonomi e meno formalizzati della galassia (Autonome Nationalisten, biker-neonazi) hanno sempre più contatti con alcune organizzazioni estremiste-neonaziste di Ucraina, Russia, Bulgaria, Polonia e Ungheria. Anche organizzazioni non tedesche ma storicamente vicine al network tedesco si muovono in questo senso, come nel caso del NRM-Nordic Resistance Movement (network neonazista svedese, norvegese, finlandese e danese). Particolare è ad esempio il legame tra il braccio svedese di NRM e il gruppo suprematista-nazionalista bianco RID-Russian Imperial Movement. Anche la NPD (storico partito neonazista tedesco) avrebbe avuto crescenti contatti con il RID russo. Sul piano ideologico i paesi dell’est europeo vengono sempre più apprezzati dall’estremismo di destra in Germania per la loro “omogeneità etnica” generalmente bianca e per una realtà storica che non sta vivendo l’esperienza contingente del multiculturalismo e della crescita demografica delle minoranze. Non solo, i gruppi tedeschi considerano i legami con i gruppi dell’est molto utili anche sul piano tattico: la pressione delle autorità locali sulle organizzazioni dell’estrema destra euro-orientale è oggettivamente minore che in Germania e le possibilità di incontro/networking/addestramento sul loro territorio è molto più ampia.
Tanto paradossale quanto emblematico è che gli estremisti di destra stranieri abbiano combattuto in Ucraina su entrambi i fronti.
Passaggio storico decisivo per formare queste geometrie transnazionali è stata la guerra in Ucraina, che si è trasformata in un vero e proprio laboratorio per l’estremismo di destra tedesco e di tutta Europa. I foreign fighters nell’area sono giunti da vari background e con motivazioni eterogenee. Tra questi, però, anche centinaia di paramilitari di estrema destra si sono uniti a specifiche milizie e hanno partecipato ai combattimenti esplosi nel 2014. Tanto paradossale quanto emblematico è che gli estremisti di destra stranieri abbiano combattuto in Ucraina su entrambi i fronti. Alcuni si sono uniti a gruppi ultra-nazionalisti anti-russi come il network/milizia Azov (che ha legami stretti con i tedeschi di Dritte Weg e Die Rechte) e la Misanthropic Division (uno dei battaglioni che combatte proprio all’interno di Azov). Altri paramilitari di estrema destra si sono uniti invece alle milizie filo-russe, sostenute ad esempio dal già citato RID russo (tramite il suo braccio paramilitare Imperial Legion).
La capacità di trascendere la contingenza delle contrapposizioni materiali di una stessa guerra per utilizzarla come momento costituente della propria preparazione/addestramento alla violenza politica è un salto di qualità significativo per l’estremismo di destra tedesco ed europeo. Nelle relazioni internazionali dell’estrema destra europea permangono inevitabilmente profonde differenze e contraddizioni. Altro capitolo che merita attenzione analitica sono ovviamente anche i contatti tra il neonazismo tedesco e i gruppi di estrema destra mediterranei (Italia inclusa). Quello che è però chiaro è che il network dell’estremismo di destra transeuropeo si stia ideologicamente consolidando sulla base di una declinazione estrema e potenzialmente terroristica di un suprematismo bianco infine post-nazionale. Come ha scritto da poco sul New York Times Ali Soufan, ex agente FBI e oggi analista d’intelligence, per l’estrema destra occidentale transnazionale la stessa guerra in Ucraina può essere paragonata a quello che la guerra in Afghanistan (1979-89) è stata per l’islamismo radicale. Vale a dire uno spazio-tempo storico in cui, al di là dei vari posizionamenti contingenti, sono state gettate le basi pratiche per poi creare un intero movimento terrorista internazionale.
Dove va la pandemia tedesca?
Alessandro Ricci
"Il virus non si arrende” è la frase d’esordio del ministro della salute tedesco Jens Spahn alla consueta conferenza stampa insieme al capo del Robert Koch Institut Lothar Wieler sulla situazione del coronavirus in Germania. Una situazione che ad uno sguardo non molto attento potrebbe sembrare piuttosto tranquilla: casi stabili e incidenza che continua a scendere, in molti casi anche sotto la soglia target del governo di 35 casi per 100.000 abitanti. Tanto da portare alcuni politici ed analisti a chiedersi il perché di lockdown prolungati e di un modello di chiusura nazionale piuttosto che uno basato su zone come quello italiano. Una di queste è la corrispondente italiana del quotidiano Die Welt che si interroga sulla gestione della pandemia tedesca, di cui abbiamo parlato nello scorso numero, e chiede un ripensamento da parte della Cancelliera Angela Merkel sul programma di aperture.
Il nuovo target governativo di 35 infezioni per 100.000 abitanti per 7 giorni ha fatto infuriare entrambe le parti politiche. I Länder a guida CDU accusano Merkel del fatto che un solo parametro non sia sufficiente a valutare in toto la situazione della pandemia, con l’intento di valutare ulteriori misure per una riapertura rapida e generalizzata. Ai primi ministri fa eco Armin Laschet, primo ministro del popoloso stato della Nord Reno Vestfalia e presidente della CDU, che in uno dei suoi primi attacchi a Merkel considera la gestione del Covid “piuttosto paternalistica”: “È sempre popolare proibire tutto, essere severi, trattare i cittadini come bambini minorenni”. Dall’altro lato i politici SPD che sono più favorevoli alle chiusure e chiedono una modifica alla legge sulla protezione dalle infezioni. Nello specifico di inserire ulteriori parametri, come quello dell’occupazione dei letti in terapia intensiva e la capacità dei centri sanitari di poter svolgere il tracciamento delle catene d’infezione (in Italia vengono considerati 28 parametri). A questi si aggiungono i Grünen con Manuela Rottmann, portavoce dei Verdi nella commissione giuridica: "Quando le imprese sono bloccate per mesi, il peso della giustificazione aumenta. La preoccupazione per le mutazioni non è una giustificazione sufficiente. Arriveranno altre mutazioni”. Mentre Robert Habeck, co-leader dei verdi, accusa il governo di una “gestione bendata e una navigazione a vista”, in particolare sul tema vaccini.
“È sempre popolare proibire tutto, essere severi, trattare i cittadini come bambini minorenni”
Ma il vero terreno di scontro è stato messo sul tavolo dall’ex presidente SPD e esponente di Die Linke Oskar Lafontaine: “Continuando a controllare la pandemia con il cosiddetto valore di incidenza, che non rispetta i principi scientifici, perché il valore non tiene conto del numero di test eseguiti, la gestione della pandemia basata su un valore così dubbio è, alla fine, un’idiozia”. Infatti, è noto che nel momento in cui il tracciamento non funziona, come nel caso della Germania, un basso numero di test non riesce a scoprire tutte le infezioni e di conseguenza a portare all’isolamento e sequenziamento della catena d’infezione. Ma soprattutto questa strategia è fattibile solo a fronte di una certa stabilità nel numero di persone testate.
Così guardando ai dati dei test PCR effettuati si nota che la Germania è passata da essere la regina dei test a perdere lo smalto. Se si prendono in considerazione i dati sui test PCR da inizio pandemia al 7 febbraio (nel grafico in rapporto con l’Italia) si nota come da ottobre in poi, quasi costantemente, il numero dei test in Germania sia diminuito. Prendendo il 7 febbraio come data di riferimento l’Italia faceva circa 220 tamponi molecolari per 100.000 abitanti, mentre la Germania 184. La linea tratteggiata invece mostra l’aggregato con i test rapidi conteggiati in Italia da metà gennaio (per la Germania non è disponibile un dato certo che potrebbe arrivare nelle prossime settimane, quando verranno introdotti test rapidi gratuiti per tutti su tutto il territorio tedesco). Ma il dato che più di tutti potrebbe colpire è il numero di test effettuati sulla reale capacità di testare. Se si prende la sesta settimana dell’anno, il numero di test effettuati è di 1.040.260 a fronte di una capacità di 2.304.487, più del doppio. È molto probabile che il motivo sia riconducibile alla difficoltà che diversi distretti sanitari sperimentano nel Track & Tracing e dal tipo di tracciamento effettuato.
Intanto, è bene ricordare che al momento, eccetto in alcune zone, non c’è una vera e propria limitazione agli spostamenti sul suolo tedesco, mentre sono in forza alcune limitazioni all’entrata da altri paesi. Per quelli considerati Risikogebiet (incidenza superiore a 50*100.000) è richiesto un test PCR entro le 48h precedenti all’entrata nel paese più una quarantena di 10 giorni (che si può ridurre con un test negativo al quinto giorno), mentre per i paesi con una forte presenza di mutazioni è fatto divieto di entrare in Germania, salvo alcune eccezioni. Di fatto la mobilità interna è meno tracciabile di quella dall’esterno ma la strategia tedesca in merito alla mobilità sembra quella di chiudersi al suo interno, nonostante le mutazioni siano già presenti. È della scorsa settimana, infatti, l’annuncio della chiusura delle frontiere con il Tirolo e con la Repubblica Ceca, zone ad alta incidenza di mutazioni.
E proprio le mutazioni sono fonte di preoccupazione e terreno di scontro, come in altri paesi europei, in particolare la B.117, la famosa variante inglese. Il Robert Kock Institut dichiara che la mutazione è presente nel 22% di tutti i casi. Ma è l'entità dell'aumento ad essere particolarmente significativa: in sole due settimane è passata dal 6% a livello nazionale a quasi il 23%. In cinque settimane, la proporzione è aumentata di oltre dieci volte a livello nazionale e in alcuni casi locali ben al di sopra. La città di Düsseldorf ha annunciato giovedì che la percentuale è oltre il 40%, lo stesso vale per la regione di Hannover, mentre in Sassonia si espande molto velocemente. Flensburg, nello Schleswig-Holstein, è diventata un Hotspot: mentre lo stato federale più settentrionale ha riportato, mercoledì, un valore di incidenza complessivo di 55,9, a Flensburg è stato di 181,9. Secondo il sindaco, la percentuale di presenza è "ben oltre il 33 per cento” e dal 20/02 entreranno in vigore nuove restrizioni all'uscita e un divieto totale di contatto per una settimana tra le 21 e le 5 a cui si aggiunge la chiusura delle scuole.
Questo momento è, quindi, un vero e proprio punto di svolta, come lo definisce Lothar Wieler, per capire se la Germania riuscirà a reagire e/o anticipare una possibile terza ondata o si lascerà sopraffare come per la seconda, dove ha perso tutto il vantaggio guadagnato durante la prima ondata sugli altri paesi europei. Ma non è un momento di svolta soltanto per le misure per evitare il contagio, ma anche quello per dare un nuovo impulso alla campagna vaccinale. Infatti, stando al valore medio delle dosi inoculate dal 12/02 al 18/02 e continuando con questo ritmo, piuttosto veloce rispetto a quello delle settimane passate, la Germania raggiungerebbe l’immunità di gregge domenica 8 gennaio 2023 (con lo steso calcolo l’Italia la raggiungerebbe mercoledì 4 settembre 2024).
Secondo un rapporto di Der Spiegel, l’80% della popolazione preferirebbe il preparato Biontech-Pfizer, il 5% quello di Moderna e solo il 3% AstraZeneca.
Senza contare i problemi con l’accettazione di alcuni vaccini. Infatti, secondo un rapporto di Der Spiegel, l’80% della popolazione preferirebbe il preparato Biontech-Pfizer, il 5% quello di Moderna e solo il 3% AstraZeneca. E nonostante un’alta disponibilità a farsi vaccinare (74%) molte persone vorrebbero scegliere il vaccino desiderato, con circa il 40% degli intervistati che annullerebbe l'appuntamento al centro di vaccinazione nel caso di un vaccino non gradito.
Questo è il caso di Berlino, unico Land che fino a mercoledì permetteva la scelta del vaccino, dove si è verificato che medici e infermieri spesso rifiutassero AstraZeneca a causa della sua reputazione. Infatti, si è parlato a lungo del fatto che il vaccino fosse meno efficace contro le mutazioni rispetto ai vaccini mRNA di Biontech / Pfizer e Moderna. Secondo il Robert Koch Institute (RKI), solo 87.000 dosi delle 736.800 dosi di vaccino AstraZeneca consegnate fino ad oggi sono state inoculate a livello federale. Il risalto è stato così forte che ha spinto il più famoso virologo tedesco, Christian Drosten ad esporsi pubblicamente sul vaccino.
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