La politica estera dei Verdi // L'ex capo dei servizi segreti vuole il Bundestag
La Cdu e il caso Maaßen // I Verdi tra atlantismo e diritti umani
In questo numero Uski Audino si occupa della politica estera dei Verdi tra Unione Europea e rapporto con Stati Uniti, Russia e Cina. Lorenzo Monfregola si occupa della destra ultra-conservatrice della Cdu che sogna di far eleggere al Bundestag l’ex capo dei servizi segreti (incontrando però l’opposizione di tutto il resto del partito).
La politica Estera dei Verdi. Tra fedeltà all'atlantismo e la bussola dei diritti umani
Uski Audino
Qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo, qualcosa di prestato. L'antico andante per vestire la sposa riassume in modo efficace l'abito scelto dai Verdi in politica estera per presentarsi alle elezioni federali di settembre, con la fondata speranza di andare al governo. 'Qualcosa di vecchio' è la richiesta “storica” di una riduzione delle armi atomiche e di un controllo sull'export dei sistemi di Difesa, stavolta declinato in chiave europea. 'Qualcosa di nuovo' è l'allineamento agli Usa nei confronti di Cina e Russia in cambio di un impegno degli Stati Uniti sugli obiettivi climatici. 'Qualcosa di usato' è la sostanziale continuità con la politica estera dell'attuale Große Koalition, che vede la Germania radicata in Europa, nel solco dell'asse franco-tedesco, fedele rappresentante dell'Alleanza atlantica, propensa a un'estensione dell'Ue a Est.
Mentre l'opinione pubblica tedesca discute su chi sarà tra 10 giorni il candidato dei Verdi alla Cancelleria tedesca, tra il 51 enne ex ministro dell'Ambiente nel Land dello Schleswig-Holstein Robert Habeck o la 40 enne Annalena Baerbock, agguerrita ma senza esperienza di governo, mentre le tifoserie si fanno sentire (Habeck ha dalla sua l'endorsement di Daniel Cohn-Bendit e del riconfermato governatore del Baden-Wuerttemberg Winfried Kretschmann), la bozza di programma elettorale uscita il 18 marzo scorso presenta in sintesi le direzioni in cui si vuole muovere il partito ambientalista, anche sul piano europeo e internazionale.
“Continuiamo a costruire l'Europa”
Nelle 134 pagine della bozza di programma, undici sono dedicate alla politica europea e alla politica estera. Lo stesso “peso” che trova nel programma di Spd. Gli accenti però sono diversi e il grado di specificità delle proposte di riforma delle istituzioni europee contenute nel capitolo “Continuiamo a costruire l'Europa” non ha paragone con quelle dei programmi degli altri grandi partiti tedeschi. Non ci si limita a parlare di “democratizzare” la Ue, ma si dice anche come.
I punti di convergenza con i socialdemocratici sui temi europei sono due: entrambi puntano su un'integrazione europea che porti ad una “Repubblica federale europea”, ed entrambi vogliono il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo e chiedono di affidare all'istituzione europea l'iniziativa legislativa. Un elemento che accomuna invece i Verdi e i due partiti di governo tedeschi, Cdu e Spd, è la comune volontà di superare le decisioni prese all'unanimità a favore di un voto a maggioranza che migliori la capacità di azione europea. Le convergenze però finiscono qui. I Verdi si spingono oltre e chiedono “un Parlamento che decida in tutti i settori su un piano di parità con il Consiglio” (europeo), con “forti poteri di bilancio” e con la facoltà di “poter eleggere la Commissione su proposta del*a presidente di Commissione”. In sostanza i Verdi intendono portare al centro della politica europea un organo elettivo come il Parlamento, riposizionando gli equilibri rispetto all'organo deputato a rappresentare i governi, il Consiglio europeo. Last but not least: alle elezioni per il Parlamento Ue, gli elettori dovrebbero poter votare per un capolista candidato alla presidenza della Commissione e in futuro una parte dei deputati dovrebbe poter essere eletto in liste trans-nazionali europee. Obiettivo finale “è sviluppare le istituzioni europee in direzione di un sistema bicamerale”, si conclude nella sezione dedicata all'Europa della bozza di programma.
Il programma presenta due elementi di novità orientati alla bussola dei diritti umani, che percorre da cima a fondo l'orientamento verde in politica estera. Il primo riguarda i diritti fondamentali descritti nella Carta di Nizza dei diritti fondamentali della Ue e si chiede che si possano far valere in sede giudiziaria contro gli stessi Stati nazionali. “Vogliamo che la Carta Ue sui diritti fondamentali sul lungo periodo possa essere fatta valere contro gli Stati nazionali in modo da rafforzare i diritti dei cittadini”, si scrive nel documento. Questo comporterebbe che “il resoconto annuale sullo stato di diritto (ndr: nei 27 Stati membri) deve essere seguito da misure concrete, comprese le procedure di infrazione e la mancata elargizione dei sussidi”. Dopo le difficoltà incontrate con Polonia e Ungheria lo scorso autunno durante le lunghissime trattative sulla clausola dello Stato di diritto e i finanziamenti Ue, è difficile immaginare di stabilire un simile automatismo con i Paesi di Visegrad al tavolo delle trattative. Al tempo stesso però mette in chiaro come intendono i verdi l’ Unione europea, “una comunità di valori” prima ancora che di interessi. Sempre seguendo la rotta dei diritti fondamentali si capisce la seconda richiesta “nuova” dei Verdi nella politica europea: dare alle Ong uno status comune Ue per fornire un ombrello giuridico alle iniziative provenienti dalla società civile. “Uno status di associazione europea con regole chiare sulla fondazione, lo status non profit e lo scioglimento metterebbe le associazioni europee sotto la protezione dell'UE e le sottrarrebbe all'arbitrio nazionale” si legge nel documento. Un modo di rispondere alle vicende dei salvataggi in mare di questi ultimi anni nel Mediterraneo, che hanno visto Ong europee confrontarsi con il governo italiano.
La Ue rispetto al resto del mondo si deve quindi porre come “forza di pace” e come “comunità di valori”
Sul piano internazionale i verdi chiedono di imprimere un'accelerazione alla politica estera tedesca: “è il momento di portare avanti una politica estera attiva” proiettata verso il “multilateralismo e una coerente politica orientata ai valori”. Resta salda infatti la bussola dei diritti umani “un obbligo del diritto internazionale e la base inalterabile di una politica internazionale”. La “cooperazione internazionale” deve essere “europea, nel solco di una cooperazione franco-tedesca affidabile, transatlantica e nel quadro delle Nazioni Unite”. Queste direttrici non si discostano dal solco che ha orientato finora i partiti conservatori tedeschi nella loro proiezione internazionale. La Ue rispetto al resto del mondo si deve porre come “forza di pace” e come “comunità di valori”. Niente di nuovo rispetto all'imprinting merkeliano dell'ultima legislatura.
“Al centro di una rinnovata agenda transatlantica dell'Ue, proponiamo un forte slancio comune per una politica climatica globale, sulla base degli obiettivi di Parigi”.
Come si pongono i verdi rispetto al dibattito su una politica europea nei confronti di Cina e Russia? Prendono il testimone di Merkel a favore di una politica orientata ad una prudente costruzione di un'autonomia europea oppure si mettono in scia con gli Stati Uniti? La domanda non trova una risposta chiara nel programma dei Verdi, ma tre indizi fanno propendere per un riallineamento atlantico patteggiato in cambio di un impegno sul clima.
Russia e Cina, definiti insieme come “Stati autoritari”, non possono essere affrontati da soli: “la competizione sistemica con gli stati autoritari e le dittature è reale, lasciando a volte solo la scelta tra la padella o la brace - e presentandoci dei compiti così grandi che qualsiasi forma di andare in solitaria sarebbe destinata a fallire”. Solo in alleanza, si può andare avanti, dicono i Verdi. Ma alleanza tra chi? La domanda viene lasciata aperta. Il secondo indizio mette l'accento su un accordo necessario per trattare con gli “Stati autoritari”: “vogliamo lavorare insieme per la protezione globale dei diritti umani e per un ordine mondiale basato sulle regole. Questo include un accordo su come trattare con stati autoritari come la Cina e la Russia”. Ma accordo con chi? Tutto lascia intendere che siano gli Stati Uniti l'attore con cui è necessario stringere alleanze e prendere accordi. “Il partenariato transatlantico rimane un pilastro della politica estera tedesca, ma deve essere rinnovato, inquadrato in termini europei, multilaterale e orientato verso chiari valori comuni e obiettivi democratici”. La prima frase è quella che mette in rilievo la linea di continuità della politica estera dei verdi rispetto al passato. L'elemento di novità invece è quello che lega la rinnovata alleanza transatlantica alla politica climatica: “Al centro di una rinnovata agenda transatlantica dell'Ue, proponiamo un forte slancio comune per una politica climatica globale, sulla base degli obiettivi di Parigi”.
I due paragrafi che affrontano il tema Cina e Russia sono una lunga lista di desiderata che hanno come asse i diritti umani. “La cooperazione con la Cina non deve avvenire a spese dei paesi terzi o dei diritti umani e civili” si scrive. Nei confronti della Russia, “sempre più aggressiva nel minare la democrazia e la stabilità nell'Ue e nei paesi vicini”, i verdi intendono sostenere i movimenti democratici della società civile mentre sono ostili all'allentamento delle sanzioni e sono favorevoli all'abbandono del progetto di Nord Stream 2. La politica dei Verdi nei confronti dell'Est è in continuità con la politica estera della Grosse Koalition, e su Nord Stream 2 si allinea alle posizioni dell'ala più atlantica della Cdu-Csu.
Anche nella politica di vicinato i verdi non si discostano dalle direttrici che orientano da anni la politica tedesca: favorevoli ad un ingresso nella Ue di Macedonia del Nord e Albania, sostenitori dei movimenti democratici in Armenia, Georgia, Ucraina e Bielorussia, lasciando aperta la possibilità a nuovi allargamenti della Ue. Con i paesi a sud del Mediterraneo si vuole puntare a costruire un partenariato energetico. La novità rispetto alla linea governativa riguarda l'accento critico verso la Turchia. In particolare per i mancati passi avanti nell'affrontare la questione curda, per “l'inversione di rotta” su diritti umani e stato di diritto e per l'accordo Ue-Turchia sui migranti. “L'attuale accordo Ue-Turchia mina il diritto internazionale in materia di asilo, è fallito e deve essere abbandonato”. Sarebbe necessario un nuovo accordo che garantisca un'accoglienza maggiore nella Ue dei rifugiati “bisognosi di protezione”. Altro elemento nuovo riguarda il partenariato con l'Africa. “Il futuro sta in una politica dell'Africa che si liberi dagli schemi del pensiero coloniale e patriarcale e che allo stesso tempo prenda sul serio la responsabilità europea verso il continente” si legge. In discussione ci sono i contratti commerciali poco fair e lo sfruttamento delle risorse. Al centro della politica europea sull'Africa ci dovrebbe essere il sostegno ad una trasformazione “social-ecologica” e il sostegno dell'Agenda 2063 dell'Unione Africana.
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La destra CDU sogna l’ex capo dei servizi segreti al Bundestag
Lorenzo Monfregola
Come se non bastassero la difficile scelta del prossimo candidato Cancelliere e la caduta libera nei sondaggi, per la CDU è spuntato in questi giorni anche il caso Hans-Georg Maaßen. Il discusso e divisivo ex Presidente del BfV - Bundesamt für Verfassungsschutz (l’Ufficio per la protezione della Costituzione, cioè i servizi segreti interni tedeschi) ha annunciato lo scorso primo aprile di volersi candidare per la CDU alle elezioni nazionali del 26 settembre. Maaßen è iscritto alla CDU da decenni e vorrebbe ora entrare al Bundestag passando dal seggio 196 nel sud della Turingia (Germania centro-orientale), in cui avrebbe il sostegno dei cristiano-democratici locali. Maaßen è però lo stesso funzionario rimosso dalla guida dell’intelligence interna nel 2018 perché giudicato troppo morbido con l’estrema destra ed è oggi anche la personalità più in vista della corrente ultra-conservatrice della CDU. Una corrente di cui è soprattutto espressione il gruppo WerteUnion, nata nel 2017 su posizioni restauratrici del vecchio conservatorismo cristiano-democratico e specificamente molto critica verso diritti civili, immigrazione e il multiculturalismo. Da sempre, inoltre, la WerteUnion è perlomeno possibilista in merito al superamento del più decisivo tabù dei cristiano-democratici: il dialogo con la destra identitaria e nazionalista di AfD - Alternative für Deutschland. Una prospettiva che assume particolare significato proprio in Turingia, in cui nel febbraio 2020 si era consumato lo psicodramma del primo tentativo di formare un governo regionale con i voti congiunti di CDU e AfD (in favore di un esecutivo guidato da Thomas Kemmerich, dei liberali FDP). Tentativo che fu un vero e proprio ammutinamento delle dirigenze CDU locali (e tipicamente tedesco-orientali) rispetto al divieto assoluto di collaborare con AfD imposto dalla direzione nazionale. Ammutinamento che, seppur poi bloccato sul nascere, portò comunque alle dimissioni della Presidente CDU Annegret Kramp-Karrenbauer, avviando così quella crisi di leadership post-merkeliana ancora in corso. Non è quindi difficile capire perché in questi giorni e in queste ore la CDU di Berlino (e la CSU di Monaco di Baviera) stiano facendo tutto il possibile per impedire la candidatura di Maaßen proprio in Turingia. Fu la stessa Kramp-Karrenbauer, del resto, a dire già nel 2019: “ci sono a buona ragione degli ostacoli per espellere qualcuno dal partito, ma io non vedo nessuna posizione del signor Maaßen che lo renda davvero parte della CDU".
Da sempre la WerteUnion è perlomeno possibilista in merito al superamento del più decisivo tabù dei cristiano-democratici: il dialogo con la destra identitaria e nazionalista di AfD - Alternative für Deutschland.
Chi è Hans-Georg Maaßen? Uomo tatticamente esperto e conservatore dalla cultura politica certamente profonda, Maaßen è oggi un avvocato di 58 anni che si contraddistingue per essere sempre più attivo su Twitter e nel dibattito del conservatorismo tedesco. Sui social non rinuncia a prestare il fianco a teorie della destra che si autodefinisce anti-globalista, a posizioni di negazione dell’emergenza ambientale e ad altri cavalli di battaglia della destra nazional-populista. Dopo una carriera di primissimo piano nelle istituzioni (all’interno del ministero dell’Interno), nel 2012 Maaßen fu nominato capo del BfV, andando a sostituire il suo predecessore Heinz Fromm (che era rimasto a dir poco bruciato dalla gestione da parte dell’intelligence interna del caso del gruppo terroristico neonazista NSU).
Nel corso degli anni, Maaßen ha attraversato (e gestito) diverse crisi, tra cui lo scandalo NSA e l’attentato islamista al mercatino di Natale di Breitscheidplatz a Berlino (dicembre 2016). I problemi per Maaßen sono però cominciati quando ha iniziato a esprimersi sempre più politicamente contro la cosiddetta Willkommenspolitik (l’accoglienza dei migranti del governo Merkel III), spesso legando tatticamente le sue critiche alle analisi e valutazioni (in qualità di capo del BfV) sull’islamismo radicale e sulla criminalità in Germania. Nel frattempo, vari politici di governo e opposizione avevano già iniziato a denunciare quella che percepivano come una morbidezza e complicità attiva di Maaßen nel trattare proprio il partito anti-immigrazione AfD. Una critica dalle conseguenze specifiche, visto che già allora veniva discussa l’eventuale osservazione di AfD per potenziale “estremismo di destra” da parte del BfV (guidato, appunto, dallo stesso Maaßen). La valutazione del nazionalismo identitario di AfD come direttamente “estremista di destra” o meno è stata del resto una faglia ideologica a lungo presente all’interno degli apparati di sicurezza e d’intelligence dello Stato federale tedesco (oggi AfD è però ormai quasi ufficialmente sotto osservazione dell’intelligence per “estremismo di destra”). In quanto a Maaßen, la fase finale delle sue tensioni con il governo Merkel è poi infine emersa nel settembre 2018. In occasione delle manifestazioni anti-immigrati nella città di Chemnitz (Sassonia, Germania orientale), esplose dopo l’uccisione di un giovane del luogo in una rissa con due richiedenti asilo, il governo e tutti i media tedeschi hanno denunciato il ruolo di AfD nelle manifestazioni e anche il verificarsi di fenomeni di “caccia all’immigrato” da parte di gruppi xenofobi apertamente neonazisti. Maaßen è però intervenuto personalmente per contestare la denuncia del governo (e della stessa Kanzlerin Merkel), dichiarando che episodi del genere non sarebbero avvenuti (e che un video in merito, divenuto virale, fosse falso o strumentale). Le critiche contro il capo del BfV sono state a quel punto quasi unanimi e, pochi giorni dopo, su pressione soprattutto della SPD di governo, Maaßen è stato rimosso e spostato dal proprio ruolo. Nel novembre 2018, inoltre, sono emerse ulteriori dichiarazioni di Maaßen, in cui accusava proprio la SPD di aver ordito un complotto di “estrema sinistra” nei suoi confronti. Poco dopo l’alto funzionario è stato così definitivamente messo in pensionamento anticipato dal Presidente della Repubblica Steinmeier.
I problemi per Maaßen sono però cominciati quando ha iniziato a esprimersi sempre più politicamente contro la cosiddetta Willkommenspolitik, spesso legando tatticamente le sue critiche alle analisi e valutazioni (in qualità di capo del BfV) sull’islamismo radicale e sulla criminalità in Germania.
Nei mesi successivi a quello che è stato un licenziamento di fatto, Maaßen ha poi rifiutato l’offerta di entrare proprio nel partito AfD ed è invece rimasto all’interno della CDU, diventando presto una star e un attivista di riferimento della piccola ma rumorosa WerteUnion. E’ in questo contesto che è così arrivata la candidatura di pochi giorni fa, appositamente piazzata in una delle aree più conservatrici della Germania (anche grazie al posto lasciato libero dal CDU Mark Hauptmann, recentemente coinvolto nello scandalo mascherine). Sarebbe però superficiale considerare la candidatura di Maaßen come sola espressione della ultra-minoritaria WerteUnion e non, invece, come più complessivamente emblematica di un mondo nazional-conservatore che non vuole lasciare la CDU ma rifiuta con mentalità militante il centrismo merkeliano e post-merkeliano. Un mondo che non è solo presente tra i cristiano-democratici, ma significativamente anche in segmenti della geometria statale, a partire dalle forze di sicurezza, dalla polizia e dalle forze armate.
Cosa succederà ora in Turingia? La presentazione dei candidati CDU della Turingia era prevista per il prossimo 16 aprile. Ora, però, è stata rimandata a fine mese. E’ chiaro che il caso Maaßen abbai influito su questo cambio di programma. Berlino sta facendo di tutto per evitare lo sgarro della candidatura di un uomo considerato a dir poco scomodo dalla grande maggioranza del partito. Il CDU Marco Wanderwitz, Segretario parlamentare di Stato per i Land della Germania orientale, ha definito pochi giorni fa la candidatura dell’ex capo del BfV come “una follia”, aggiungendo che "lo stile e i contenuti del signor Maaßen sono da tempo incompatibili con l'Unione Cristiano Democratica". La CDU nazionale non ha tuttavia molti strumenti burocratici per impedire direttamente una candidatura. La scelta finale sui candidati nel seggio 196 della Turingia spetterà formalmente alle dirigenze delle 4 circoscrizioni che in quell’area sono raggruppate. La CDU nazionale sta però verosimilmente cercando di intervenire politicamente, convincendo i responsabili locali a fermare l’opzione Maaßen. Contro l’ex capo del BfV si è già schierato anche il presidente della CDU della stessa Turingia, Christian Hirte, oltre al leader della CSU (e wannabe Cancelliere) Markus Söder.
Nell’intreccio tra politica locale e nazionale, la CDU continua a trovarsi di fronte al paradosso di essere riuscita a fare un solido cordone che la divida da AfD in quella maggioranza del paese dove i nazional-identitari sono più deboli, ma di avere invece chiare difficoltà nel creare una barriera verso destra negli stati dell’Est
Il caso, intanto, ha però riportato sul tavolo dei cristiano-democratici l’enorme differenza tra lo scenario politico della Germania occidentale e quello della Germania orientale. Se in previsione delle prossime elezioni del 26 settembre la competizione nazionale complessiva sembra essere definita dallo scontro (e potenziale alleanza) tra CDU e Verdi, questo non è vero per la specificità di almeno 3 dei 5 Land dell’ex DDR. Si tratta di Land dove i Verdi sono oggi ancora molto deboli e dove il secondo partito è invece AfD. Scenari in cui per alcuni politici locali della CDU è meno impossibile la tentazione di cercare alleanze di comodo verso destra. Il prossimo 6 giugno ci sarà ad esempio l’ultimo test pre-elettorale tedesco, con le elezioni regionali in Sassonia-Anhalt. Malgrado i disastrosi posizionamenti politici di AfD durante la pandemia (la destra nazional-identitaria ha infatti cercato di cavalcare i movimenti negazionisti più estremi), nel Land il partito è ancora dato come secondo alle spalle della stessa CDU. Scenario simile in Sassonia, dove AfD sembra resistere, sempre dietro ai cristiano-democratici. Nella stessa Turingia, dove il 26 settembre si voterà sia per le elezioni nazionali sia per il parlamento regionale, la CDU potrebbe invece arrivare solo terza, dietro ad AfD e alla Linke dell’attuale Ministro-Presidente Bodo Ramelow. La presenza della Linke, che contende tuttora ad AfD il ruolo di partito dello scontento della Germania orientale, aggiunge un ulteriore elemento all’operazione Maaßen in Turingia. Uno dei cavalli di battaglia di gruppi come la WerteUnion (o gruppi CDU affini come la Aktion Linkstrend stoppen) è proprio l’anti-comunismo e l’anti-socialismo. Ed è all’interno di questo paradigma che viene poi spesso spinto un possibile dialogo alternativo definito bürgerlich (borghese) con AfD (nonostante proprio la Turingia sia ad esempio il fulcro del Flügel, cioè la corrente più di estrema destra ed etno-nazionalista della stessa AfD).
Nell’intreccio tra politica locale e nazionale, la CDU continua così a trovarsi di fronte al paradosso di essere riuscita a fare un solido cordone che la divida da AfD in quella maggioranza del paese dove i nazional-identitari sono più deboli, ma di avere invece chiare difficoltà nel creare una barriera verso destra nei Land dell’Est, dove AfD punta tuttora a superare il 20% dei voti. Comunque vada a finire nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, la candidatura/non candidatura di Maaßen sarà quindi un altro tassello di questa profonda e complessa contraddizione politica, ideologica e territoriale.
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