La Linke riparte da due donne // Processi tedeschi contro i crimini di guerra
La Sinistra-Linke sceglie due nuove leader // La Germania processa sia ex agenti siriani sia foreign fighters dell'IS
Questa settimana con Alessandro Ricci ci occupiamo del congresso digitale del partito più a sinistra nel Bundestag, Die Linke, che ha appena eletto due donne alla propria guida, per rilanciare la corsa verso le elezioni del 26 settembre. Nel secondo articolo Lorenzo Monfregola racconta come la Germania si stia dedicando a dei processi extraterritoriali contro i crimini di guerra. Processi sia contro ex agenti dell’intelligence siriana sia contro miliziani del cosiddetto Stato Islamico.
La Linke riparte da due donne
Alessandro Ricci
Che la sinistra sia spaccata non è una novità. E questo vale anche per quella tedesca, che da tempo vive in un limbo tra l’ala movimentista e quella che guarda al governo. Del resto, almeno nel Land di Berlino la Linke è al governo con SPD e Verdi, in un’alleanza che potrebbe riproporsi anche alle prossime elezioni locali. Dall’altro lato, con consensi che non volano e lotte interne, sembra difficile trovare una quadra per settembre, quando le nuove elezioni del Bundestag potrebbero mettere l’opzione coalizione sul tavolo delle trattative. È quindi lecito domandarsi dove andrà la sinistra anticapitalista tedesca.
L’occasione la offre il congresso digitale di sabato scorso con l’elezione del nuovo Spitzenduo, tutto al femminile, formato daSusanne Hennig-Wellsow e Janine Wissler che sostituiscono dopo 8 anni Katja Kipping e Bernd Riexinger. La prima è molto famosa in Germania per aver lanciato un mazzo di fiori ai piedi del temporaneo presidente della Turingia eletto con i voti di Afd, la seconda, piuttosto sconosciuta, ha creato scalpore, almeno nella stampa più conservatrice tedesca, per l’appartenenza al movimento estremista Marx21.
È stata una scelta che ha visto rinnovarsi la dualità del partito: Hennig-Wellsow fedele di Bodo Ramelow, governatore della Turingia, pragmatica e orientata a possibili alleanze governative; Wissler, invece, più radicale e stimata dal fondatore Oskar Lafontaine, marito di Sahra Wagenkecht. Si tratta di uno Spitzenduo che assomiglia molto ad un Giano bifronte e che ancor di più mette in luce come l’ala attorno a Sahra Wagenknecht abbia perso influenza. Tanto da far parlare i fedeli della fondatrice del movimento Aufstehen ed ex candidata cancelliere per Die Linke di una vera e propria epurazione e da far ipotizzare la fondazione di un nuovo partito.
Con due volti nuovi l’idea è quella di smettere di parlare di se stessi e tornare a fare politica, il punto però rimane ancora che tipo di politica.
Con l'elezione di un nuovo duo dirigente, la sinistra ha gettato via la zavorra psicologica: le controversie interne al partito, soprattutto lo scontro tra Katja Kipping e Sahra Wagenknecht che hanno privato il partito di forza ed energia. Con due volti nuovi l’idea è quella di smettere di parlare di se stessi e tornare a fare politica, il punto però rimane ancora che tipo di politica. Die Linke, infatti, non è riuscita a sottrarre elettori a SPD nonostante l’emorragia di voti che sta vivendo il partito socialdemocratico e molti interrogativi rimangono ancora aperti.
La 39enne Wissler è in sintonia con lo spirito movimentista del partito, come mostra il suo risultato elettorale dell’84% ottenuto al congresso del partito. La sua appartenenza di lunga data alla rete trotskista Marx 21, sotto controllo da parte dell’organismo per la protezione della Costituzione, la rende vulnerabile agli occhi della parte più moderata. Ma dall’altra parte la leader del gruppo parlamentare di Die Linke in Assia incarna anche una sinistra che cerca il networking verso l'esterno - non solo con i sindacati, ma anche con i movimenti per il clima, con quello degli inquilini o con i migranti. La 43enne Hennig-Wellsow, invece, dovrà capire dove si trovano attualmente i limiti del partito e cercare di riportarla su un binario governativo (si legga coalizione).
Se infatti per la prima volta la sinistra ha ottenuto un cambio di leadership più armonioso, i nuovi presidenti Susanne Hennig-Wellsow e Janine Wissler non appartengono a nessuno dei campi profondamente divisi le cui lotte di potere sono state un peso per anni, non si può parlare di unità. La più grande linea di conflitto corre tra coloro che vogliono governare a livello federale e sono disposti a scendere a compromessi, e coloro che fanno affidamento su una fondamentale opposizione al sistema. Questa crepa non risparmia nemmeno la nuova leadership del partito. Almeno guardando il voto, i delegati hanno dimostrato di preferire le posizioni di estrema sinistra ai compromessi necessari per governare. Hennig-Wellsow ha ottenuto un risultato significativamente peggiore di Wissler, quindi sembrerebbe profilarsi una Linke “di lotta e di lotta”.
Da una parte si cerca di non perdere persone che non condividono l'antifascismo della sinistra a favore di AfD e spingerle a destra, o di perderle perché ci si concentra troppo sul clima e sulla politica antirazzista. Dall’altra si teme che si possano perdere elettori a favore dei Verdi o trascurare un potenziale nella società se non si alza il proprio profilo proprio su questi temi collegandolo alle istanze sociali.
Questa discrepanza è tanto più visibile nella base del partito. Da una parte si cerca di non perdere persone che non condividono l'antifascismo della sinistra a favore di AfD e spingerle a destra, o di perderle perché ci si concentra troppo sul clima e sulla politica antirazzista. Dall’altra si teme che si possano perdere elettori a favore dei Verdi o trascurare un potenziale nella società se non si alza il proprio profilo proprio su questi temi collegandolo alle istanze sociali. Insomma, da un lato il rischio di essere un milieu-partei, ossia un partito di nicchia, dall’altro quello di perdere la propria identità.
La separazione è tanto più forte per l'atteggiamento nei confronti delle missioni della Bundeswehr all’estero, in un partito che ha fatto dell’antimilitarismo uno dei suoi valori fondanti. Questo sarebbe almeno uno dei punti da considerare nel caso di una possibile alleanza con Verdi e Spd a livello federale. Hennig-Wellsow si era dimostrata aperta alla partecipazione ad alcune missioni di pace delle Nazioni Unite salvo poi, durante un’intervista, dirsi totalmente contraria e fare scena muta alla domanda dell’intervistatore su dove fossero presenti le forze armate tedesche. Wissler, invece, esclude tassativamente qualsiasi partecipazione. E non stupisce quindi che Wissler abbia riscosso così tanto successo, anche vista la debacle al congresso di Mathias Höhn, sostenitore della rottura del dogma contro le operazioni dei caschi blu che coinvolgono le forze armate.
Bundesweher va di pari passo con la politica estera. Con la perdita di potere dell’ala di Wagenknecht mancherà nel partito il sostegno ai paesi socialisti dell'America Latina e si andrà verso una linea che tratterà Russia e Cina alla stregua di Stati Uniti e Unione Europea, in un partito tradizionalmente legato a Mosca. Così piuttosto che concentrarsi su quella che viene chiamata “pace coerente” si guarderà alla politica estera semplicemente come alla riduzione dell’esportazione di armi, vero cavallo di battaglia di Die Linke.
Con l’estromissione del cerchio magico di Sahra Wagenknecht, se ne va anche l’idea di un limite all’accoglienza di migranti in Germania
Infine le migrazioni sono un altro tema caldo. Con l’estromissione del cerchio magico di Sahra Wagenknecht, se ne va anche l’idea di un limite all’accoglienza di migranti in Germania. Idea nata dal mutato orientamento politico negli stati dell’Est, dove Die Linke è sempre stata tradizionalmente molto forte, e strategia messa a punto per rincorrere AfD. Con l’entrata nella catena di comando della “meglio gioventù” della sinistra il legame con i movimenti extraparlamentari, Antifa, per l’accoglienza e per i diritti universali è molto più forte. Questo creerà uno spostamento nel partito, alla ricerca di un maggiore consenso nei più giovani e nella Germania occidentale, lasciando indietro l’elettorato tradizionale del partito, senior e Ossi.
Ma se Die Linke è stata fondata anche per distanziarsi dalla riforma dello stato sociale Agenda 2010 voluta da Schroeder e dall’invio delle truppe in Afghanistan volute da SPD e i Verdi, risulta chiaro che quelle di settembre potrebbero diventare elezioni in cui non si punta ad una svolta governativa, ma piuttosto a conquistare più consenso possibile con la purezza, sottraendo parte dell’elettorato di SPD rimasto deluso dalla Große Koalition e parte di quello deluso dalla svolta centrista dei Verdi.
Quei processi tedeschi contro i crimini di guerra in Siria-Iraq
Lorenzo Monfregola
Lo scorso martedì 2 marzo, RSF (Reporters Without Borders) ha presentato al procuratore generale della Corte di Giustizia Federale di Karlsruhe una denuncia per “crimini contro l’umanità” contro il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. La denuncia si riferisce all’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi e alla persecuzione di numerosi altri giornalisti in Arabia Saudita. Perché RSF ha scelto proprio la Germania per questa denuncia extraterritoriale? Perché negli ultimi anni la Germania sembra molto attiva nell’applicazione del principio di “giurisdizione universale”, secondo cui alcuni crimini possono essere trattati in forma transnazionale, ad esempio i crimini di guerra o i crimini relativi alla tortura. Non è un principio nuovo, ma la Germania lo ha formalizzato nel suo corpo giuridico nel 2002 e lo sta ultimamente utilizzando sempre di più. L’uso è stato però fino a ora soprattutto applicato a casi in cui imputati e/o testimoni si trovano comunque sul territorio tedesco. In questo senso sono di grande importanza diversi processi relativi alla guerra in Siria, che hanno visto o vedono sul banco degli imputati ex membri degli apparati di sicurezza del regime siriano o miliziani jihadisti affiliati all’IS.
Due ex agenti siriani accusati in Germania di tortura di stato
Eyad al-Gharib, ex agente dell’intelligence interna siriana, è stato condannato lo scorso 24 febbraio a 4 anni e 6 mesi di carcere per “favoreggiamento di crimini contro l’umanità” dal tribunale di Coblenza (Renania-Palatinato). Al-Gharib, 44 anni, era accusato di aver eseguito arresti di manifestanti anti-governativi e di averli trasferiti nel centro detentivo di al-Khatib di Damasco. Al-Gharib non è però il pezzo grosso del processo di Coblenza. Sul banco degli imputati siede ancora Anwar Raslan, 59 anni, ex colonnello del General Intelligence Directorate (GID) e superiore dello stesso al-Gharib. Raslan è accusato direttamente di crimini contro l’umanità per aver supervisionato torture, abusi e violenze su almeno 4.000 prigionieri, causando la morte di almeno 58 persone. I crimini sarebbero avvenuti proprio nella prigione al-Khatib tra il 2011 e il 2012, cioè nella prima fase del conflitto siriano e contro cittadini che partecipavano alle proteste di piazza sull’onda della Primavera Araba. Il processo contro Raslan si concluderà probabilmente questo autunno e l’uomo rischia fino all’ergastolo.
Raslan, 59 anni, ex colonnello del General Intelligence Directorate (GID) siriano è accusato di crimini contro l’umanità per aver supervisionato torture, abusi e violenze su almeno 4.000 prigionieri, causando la morte di almeno 58 persone
Sia nel procedimento contro al-Gharib sia in quello contro Raslan sono intervenuti a Coblenza una dozzina di testimoni diretti delle violenze. Molto ampio è stato anche il materiale documentario utilizzato nel processo, tra cui anche fonti del cosiddetto “Caesar Report” sulle torture contro i dissidenti-ribelli anti-Assad. Il colonnello Raslan continua a negare le accuse, ma sarebbe stato proprio il co-imputato al-Gharib a confermare il ruolo del suo superiore, contro cui ha testimoniato (ricevendo così uno sconto di pena). Elemento fondamentale nell’uso della giurisdizione universale a Coblenza è stato certamente il ruolo di una parte della comunità siriana in Germania, che conta complessivamente circa 800 mila persone, in gran parte arrivate nel 2015-2016. Dopo i primi anni più difficili, ora la comunità ha le sue associazioni e ha un rapporto più agevole con la lingua e con le istituzioni tedesche. Sia al-Gharib che Raslan erano arrivati in Germania (in momenti separati) dopo aver disertato o cambiato fronte in Siria. Proprio per questo motivo, i due ex membri del GID pensavano di essere al riparo dal loro passato. I due uomini sono stati però riconosciuti e individuati all’interno della comunità dell’immigrazione siriana e da lì si è sviluppato il processo. Altri processi contro ex membri delle forze di sicurezza di Damasco sono attualmente in corso o potenzialmente in apertura in Germania, in Svezia, in Olanda e in altri paesi europei. Le conseguenze diplomatiche e geopolitiche di ulteriori condanne, soprattutto se particolarmente pesanti, potranno essere significative.
I processi tedeschi contro jihadisti e jihadiste dell’IS
Se il processo di Coblenza si occupa dei crimini da parte delle forze governative del governo in carica di Bashar al-Assad, altri processi tedeschi si occupano dei crimini contro l’umanità delle milizie del cosiddetto Stato Islamico. Vale a dire di un’organizzazione che all’interno della guerra civile siriana ha poi conquistato l’egemonia su un pezzo dello stesso fronte islamista anti-governativo (quindi non legato alle Forze Democratiche Siriane). Alcuni di questi processi hanno usato o stanno usando parzialmente il principio di giurisdizione universale. Per altri, invece, il principio non è ritenuto necessario.
Abu Walaa e altri erano riusciti ad arruolare nelle milizie dello Stato Islamico numerosi giovanissimi (spesso con background migratorio), soprattutto nell’area della Ruhr e in Bassa Sassonia
Non è stato ad esempio fatto uso di giurisdizioni extraterritoriali nel processo che il tribunale di Celle (Bassa Sassonia) ha portato avanti contro l’iracheno Abu Walaa (o Ahmad Abdulaziz Abdullah Abdullah), 37 anni, residente in Germania dal 2001. Considerato numero 1 dell’IS sul territorio tedesco, l’uomo era un predicatore salafita in una piccola moschea radicale a Hildesheim (nel frattempo chiusa). Dopo un processo durato 3 anni, lo scorso 24 febbraio Walaa è stato riconosciuto a capo del network che spediva in Siria e Iraq numerosi foreign fighters tedeschi ed è stato condannato a una pena di 10 anni e 6 mesi. Abu Walaa e altri erano riusciti ad arruolare nelle milizie dello Stato Islamico numerosi giovanissimi (spesso con background migratorio), soprattutto nell’area della Ruhr e in Bassa Sassonia. In quanto residente in Germania e non essendosi mai spostato dal territorio tedesco per compiere i reati a lui contestati, processare Walaa per appartenenza e supporto di un’organizzazione terroristica non è stato troppo difficile per il potere giudiziario tedesco.
Quando si tratta però di perseguire direttamente i foreign fighters di ritorno da Siria-Iraq, l’approccio è più complesso. La Germania può più facilmente processare i foreign fighters per terrorismo domestico in Germania, una volta dimostrati i legami con un’organizzazione terroristica. Questa accusa, però, non copre spesso l’estensione dei crimini realmente compiuti nelle aree di guerra. A questo proposito la giustizia tedesca ha talvolta iniziato a seguire la proposta del Genocide Network (organizzazione investigativa per la persecuzione di crimini di guerra e genocidi). Il Genocide Network, che è supportato dall’agenzia UE Eurojust, chiede da tempo di aumentare in quantità e qualità le imputazioni contro i foreign fighters di ritorno allargando l’accusa ai crimini di guerra, ai crimini contro l’umanità e alla partecipazione a genocidio. Il sistema è stato ad esempio utilizzato recentemente contro un jihadista tedesco che in un video veniva ripreso mentre si dedicava al vilipendio del cadavere di un soldato siriano. Oltre al processo per terrorismo, l’uomo è stato condannato a 8 anni e mezzo di carcere per crimini di guerra “contro la dignità della persona”.
La Germania può processare i foreign fighters per terrorismo domestico in Germania, una volta dimostrati i legami con un’organizzazione terroristica. Questa accusa, però, non copre spesso l’estensione dei crimini realmente compiuti nelle aree di guerra.
Approcci simili stanno emergendo anche nei processi contro donne che hanno raggiunto il Califfato e sono poi tornate in Germania, autonomamente o dopo un arresto da parte di una delle molteplici forze anti-IS siriane, iraqene, curde. A Düsseldorf si sta svolgendo il processo contro Nurten J., donna di 35 anni di Leverkusen, che aveva raggiunto lo Stato Islamico nel 2015 con i suoi figli per sposare uno jihadista. La donna era stata attiva nella polizia morale femminile del Califfato, era rimasta fedele all’IS fino agli ultimi giorni, è stata quindi arrestata da una milizia anti-IS curda ed è infine tornata in Germania nel 2020. Nurten J., tra le altre cose, è oggi accusata anche di crimini contro l’umanità, soprattutto per gli abusi e le violenze nei confronti di una donna yazida che lei avrebbe tenuto in schiavitù in una casa nel territorio un tempo occupato dalla Stato Islamico. La donna yazida vittima delle violenze è riuscita a fuggire dopo la caduta dell’IS e si trova al momento proprio in Germania, dove vivono ormai oltre 200 mila yazidi. La donna testimonierà a breve come parte lesa contro Nurten J. proprio nell’aula di Düsseldorf ma, a causa di possibili ritorsioni anche sul territorio tedesco, le autorità hanno comunque dovuto metterla in un programma di protezione testimoni.
Nurten J., tra le altre cose, è oggi accusata anche di crimini contro l’umanità, soprattutto per gli abusi e le violenze nei confronti di una donna yazida che lei avrebbe tenuto in schiavitù in una casa nel territorio un tempo occupato dalla Stato Islamico.
Accuse simili sono emerse nel processo a Monaco di Baviera contro Jennifer W., cittadina tedesca, anch’essa di ritorno in Germania dopo essersi unita per anni alle milizie dello Stato Islamico in Iraq. In questo caso l’accusa di crimini contro l’umanità è per avere ridotto in schiavitù una bambina yazida di soli 5 anni. Secondo l’accusa, la bambina sarebbe morta a causa dei maltrattamenti di Jennifer W. e del marito. L’omicidio della bambina potrebbe essere anche giudicato giuridicamente una partecipazione attiva al crimine di genocidio contro il popolo yazida. Anche in questo caso, pur essendo l’accusata ora processata perché cittadina tedesca, il principio di giurisdizione universale potrà essere utilizzato per appesantire i capi d’imputazione e perseguire completamente i crimini di guerra eventualmente accertati.
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