Il 26 settembre 2021 i tedeschi andranno a votare. La K-Frage è la domanda-K su chi saranno i candidati a diventare Kanzler o Kanzlerin della Germania dopo 16 anni di regno Merkel. Chi correrà sia per la CDU che per il partito-gemello bavarese CSU? Sarà il neo-eletto Presidente CDU Armin Laschet? O sarà qualcun altro dei cristiano-democratici? E se invece fosse Markus Söder, l’ambizioso leader della CSU? Che possibilità di governare hanno invece i Verdi, che dovranno scegliere se candidare Robert Habeck o Annalena Baerbock? E chi è Olaf Scholz, il candidato già scelto dalla SPD?
L’ultimo sondaggio (FORSA, 18.01.21)
CDU-CSU: 35%
Grüne: 19%
SPD: 15%
AfD: 9%
Die Linke: 8%
FDP: 7%
Testi:
Armin Laschet, la continuità per una Cdu in cerca d’autore (Francesco De Felice)
Markus Söder, o l’istinto del politico (Uski Audino)
I Grünen, neocentrismo verde per governare (Lorenzo Monfregola)
Olaf Scholz, da Apparatčik a wannabe leader (Alessandro Ricci)
Armin Laschet, la continuità per una Cdu in cerca d’autore
Di Francesco De Felice
Una corsa che pareva persa ancora prima di iniziare. Una vittoria non scontata. Il traguardo non è un punto d’arrivo, bensì la base di partenza verso una meta ancora più ambiziosa: l’incarico di Cancelliere. Può essere riassunta così la vittoria di Armin Laschet come Vorsitzender della Cdu. Laschet, 60 anni, primo ministro del Nordreno-Vestfalia dal 2017, è il simbolo della continuità con Angela Merkel. Il 16 gennaio ha vinto in un congresso (digitale) che si è mostrato come emblema stesso del partito in questa fase di transizione: sintesi di passato e futuro nella rappresentanza del centro, di una Mitte certamente conservatrice, ma soprattutto moderata.
La continuità con die Mutti è un dato essenziale per comprendere la vittoria di Laschet e le sue possibilità di essere il candidato alla Cancelleria da Cdu e Csu (il partito gemello bavarese). La Cdu, l’ultima grande Volkspartei in Germania, dopo l’esodo di numerosi elettori verso i Verdi e, soprattutto, verso i nazionalconservatori di Alternativa per la Germania (AfD), è riuscita a tornare a crescere nei sondaggi grazie alla leadership di Merkel come force tranquille.
La condivisione degli ideali e delle politiche della Kanzlerin, dall’inclusione alla ricerca del compromesso per l’equilibrio, sono state le carte vincenti della vittoria di Laschet. L’imperativo è mantenere la barra della Cdu al centro, rassicurare, includere, sanare le fratture nel partito e governare le crisi nonché la Germania. Tutto allo scopo di contrastare la polarizzazione. Conservare per proseguire, nella sintesi tra passato e futuro. “Sono Armin Laschet e di me vi potete fidare (…). Vinceremo solo se continueremo a occupare il centro della società”, ha dichiarato il primo ministro del Nordreno-Vestfalia.
Tuttavia, la buona volontà di Laschet potrebbe non essere sufficiente. Ampi settori della Cdu, dalla base ai vertici e soprattutto le correnti di destra e liberiste, sono stanche dopo 21 anni di “merkelismo”. Il cambiamento è reclamato a gran voce. In questo contesto assume particolare rilevanza la richiesta del candidato perdente della destra liberista, Friedrich Merz, che, seppur sconfitto nella corsa alla Presidenza, ha provato a ottenere per sé il ministero dell’Economia e dell’Energia. Una provocazione, ma dal profondo significato politico, come a dire che la destra del partito è presente e reclama un certo protagonismo.
Insieme alla dialettica ideologica, il partito evidenzia anche fratture geografiche ed economico-sociali nei cristiano-democratici. Primo ministro del più popoloso Land della Germania occidentale, dove si concentrano i conglomerati industriali, il nuovo leader della Cdu si trova ora a dover gestire una situazione difficile negli Stati della Germania orientale. Con sacche di depressione ormai storiche, sono questi i Länder dove la Cdu ha perso più elettori, spesso transitati nelle fila di AfD. In Germania orientale, il consenso per i nazionalconservatori ha raggiunto in passato il 27%, sebbene su scala federale il dato oscilli negli ultimi mesi tra il 9 e l’11%. Le organizzazioni regionali dei cristiano-democratici puntavano quindi su Merz come leader della Cdu in grado di guidare la “campagna orientale” del partito, volta al recupero degli ex sostenitori che oggi votano per AfD. L’elezione di Laschet è stata quindi accolta con delusione, quando non con irritazione.
Il programma di Laschet ricalca le posizioni della Cancelliera: unità nella Cdu, europeismo e multilateralismo. Infine, l’esclusione di ogni collaborazione dei cristiano-democratici proprio con AfD. Tra tutte le questioni, assumono particolare rilevanza l’immigrazione e il contrasto al crimine organizzato. Come Merkel, Laschet è un deciso sostenitore dell’accoglienza dei migranti e un avversario intransigente della xenofobia, tanto da essere stato soprannominato “Armin il turco”.
Altrettanto paradigmatica delle idee e delle ambizioni di Laschet è la decisione che il primo ministro del Nordreno-Vestfalia ha assunto all’avvio della sua campagna elettorale per la presidenza della Cdu. Si tratta del ticket che Laschet ha formato con il ministro della Salute Jens Spahn, giovane (41 anni), omosessuale, esponente della corrente di centro-destra del partito. La corrispondenza tra i due è biunivoca. Da un lato, Laschet ha in Spahn un simbolo del futuro. Dall’altro, Spahn ha in Laschet il vantaggio dell’esperienza di governo e l’appoggio dell’establishment cristiano-democratico.
Vi è un tema determinante in cui le corrispondenze con la Cancelliera potrebbero ostacolare le ambizioni di governo del presidente della Cdu. È la politica estera, in cui Laschet persegue il realismo di Merkel, con la Germania determinata a conseguire il proprio interesse nazionale, coniugando europeismo e atlantismo mentre mantiene saldi i rapporti con Russia e Cina. L’elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti e il suo insediamento alla Casa Bianca potrebbero avere un effetto dirompente sull’azione internazionale della Germania, di cui si possono osservare già i primi segnali. Senza clamori, i settori atlantisti della Cdu stanno infatti iniziando a prendere le distanze da Pechino, il primo partner commerciale della Germania, per rinsaldare i rapporti tra Berlino e Washington, gravemente deterioratisi durante l’amministrazione Trump.
Mentre riconosce la natura strategica della relazione tra Germania e Cina, Laschet viene accusato duramente per quella che i critici stigmatizzano come la sua vicinanza alla Russia e al suo presidente, Vladimir Putin. Un rapporto altrettanto essenziale per Berlino, quello con Mosca, in termini geopolitici e geoeconomici. La fama di “europeista convinto e convincente” che circonda Laschet è stata e rimane offuscata dal suo sostegno al Nord Stream 2, il gasdotto in fase di completamento tra Russia e Germania attraverso il Mar Baltico, oggetto di sanzioni degli Stati Uniti.
È certamente troppo presto per lanciarsi già in previsioni su chi diventerà candidato Cancelliere della Cdu-Csu. Quello che è certo è che, nonostante sia stato appena eletto Presidente dei cristiano-democratici, Laschet parte comunque in svantaggio. Secondo molteplici rilevazioni nazionali, il leader della Csu Markus Söder, primo ministro della Baviera, continua a essere davanti a lui come risposta alla K-Frage.
Markus Söder, o l'istinto del politico
Di Uski Audino
Viene ritratto così il leader del partito cristiano-sociale bavarese (Csu) in una vignetta della Süddeutsche Zeitung: mentre un neo-eletto Armin Laschet occupa sornione una poltrona con la scritta Cdu, Markus Söder in tenuta da calciatore con i colori della Baviera si scalda a bordo campo, indossando scarpe con la scritta Kanzler Kandidat: “io non mi candido - dice - mi sto solo allenando”.
E in effetti non è strano. Il tasso di gradimento in Germania del ministro-presidente della Baviera, secondo l'ultimo sondaggio Infratest dimap del 19 gennaio, è decisamente alto. Söder viene considerato un buon cancelliere dal 54% degli elettori tedeschi, mentre Laschet dal 34%. Nell'elettorato dell'Unione Csu-Cdu il divario poi è ancora maggiore: il 72% vedrebbe bene Soeder come candidato mentre il 41% Laschet.
In sintesi si può dire che le chance di Söder per la candidatura alla cancelleria aumentano in proporzione alla debolezza della leadership Cdu. Ma è presto per dire l'ultima parola. A domanda diretta, il diretto interessato risponde così: “Alla fine io e Laschet proporremo la persona più adeguata e più promettente in termini di possibilità di successo”. Per ora quel che si sa è che la K-Frage si porrà dopo le elezioni regionali in Renania Palatinato e Baden-Wuerttemberg. Risultati alla mano.
Ma chi è questo signore che “si scalda da candidato” per la cancelleria e che potrebbe essere chiamato a colmare il vuoto lasciato da Angela Merkel? Cominciamo dall'inizio, perché il Söder di oggi non è quello di ieri.
Se è vero che solo gli stupidi non cambiano opinione, Söder allora è molto dotato. C'è stato un periodo – quello che ha preceduto le elezioni in Baviera dell'ottobre 2018 – in cui la Csu sobillata da Söder era un partito “di lotta e di governo”. Anzi, più di lotta che di governo.
Aveva cominciato ad aprile del 2018 Markus Söder la sua battaglia culturale, in nome della Leitkultur, per introdurre il crocifisso negli uffici pubblici come “simbolo fondante dell'identità cristiana occidentale”. Il New York Times all'epoca lo definiva il Trump della Baviera. Sempre a inizio Estate, prima di un drammatico Consiglio europeo, Söder sceglieva l'alleanza con Salvini e la linea dura sui migranti: “bisogna finirla una buona volta con il turismo dell'asilo (Asyltourismus) in Europa” diceva, chiedendo addirittura il respingimento alle frontiere. Non passava giorno quell'estate che dalla Csu non arrivassero bordate contro il governo di coalizione (Csu-Cdu-Spd) sulla politica dei migranti e non solo. Anche sulle marce razziste di Chemnitz in Sassonia. Risultato: l'alleanza di governo a settembre inizia a scricchiolare, mettendo anche a rischio la storica fratellanza con la Cdu. L'elettorato è disorientato e alle elezioni del 18 ottobre arriva il conto. La Csu incassa una sberla storica e cala di oltre 10 punti passando dal 47,7 del 2013 al 37,2 del 2018. I verdi salgono vertiginosamente di oltre 8 punti raggiungendo il 17,6, l'Afd sale al 10,2% . La strategia aggressiva non paga: toglie poco ad Alternativ für Deutschland e sposta il voto moderato verso i verdi. Per Söder è tempo di cambiare per non morire. E questo fa: cambia pelle. Il 2019 è l'anno dove “salvare i migranti dall'annegamento è un dovere”, è l'anno in cui attacca Orban e i populisti (“rifiutiamo una coalizione con i populisti di destra”) ed è l'anno dove scopre la crisi climatica, che gli procura un titolo tagliente di Bild: “Oh Shrek! Söder diventa sempre più verde”. Al giornalista di Der Spiegel che gli chiede se non si sia trattato di un'operazione di maquillage, Söder risponde: “Non si tratta di un cambiamento di immagine, ma di un processo di maturazione e di cambiamento”.
Torniamo al Söder di oggi, all'uomo che si presenta come il più fedele alleato di Merkel nella lotta alla pandemia, come il padre della patria (come lo definisce il quotidiano Süddeutsche Zeitung) che con prudenza guida i suoi cittadini. Il ministro-presidente della Baviera ha usato il palco fornito dal recente congresso Cdu per presentarsi come candidato cancelliere ombra. "Dobbiamo chiederci come proporre nuove prospettive alle persone nel nostro Paese" per il post-pandemia, ha detto. "Tutti quelli che pensano che dopo la Covid-19 sarà come prima si sbagliano" ha proseguito, riferendosi alle nuove questioni sociali, tecnologiche ed economiche che si porranno nel post-coronavirus. L'orizzonte del discorso è la Germania, non la Baviera. Anche il possibile scenario di coalizione post-Merkel sembra scontato per il leader della Csu: “credo che un'opzione nero-verde avrebbe molto fascino, perché le due forze politiche hanno grandi questioni in comune, come la conciliazione di economia e politica” ha detto a Spiegel. “Sarebbe attualmente l'offerta politica più interessante”, ha aggiunto. Toni severi li offre invece nei confronti di Afd e Querdenker (quel composito movimento di negazionisti del virus): “Mi colpisce come l'Afd e l'intero club dei Querdenker cerchino di mandare tutto all'aria”. Serve una rotta chiara, severa ma rassicurante. Questa è la linea Söder per la Cancelleria.
I Grünen: neo-centrismo verde per governare
Di Lorenzo Monfregola
Lo scorso 7 marzo 2020 i tedeschi avrebbero votato così: prima la CDU-CSU al 26% e secondi i Grünen (Verdi) al 24%. Ora, secondo dati del 18 gennaio 2021, i tedeschi voterebbero così: prima la CDU-CSU al 35% e secondi i Grünen al 19% (FORSA). Dopo un momento di incredibile hype mediatico-politico nel 2019, la pandemia sembra aver fatto scendere le quotazioni dei Verdi. Con l’emergenza Covid c’è stato anche in Germania un classico effetto Rally ‘round the flag, in cui parte dei cittadini si sono stretti attorno alla CDU di governo e, soprattutto, ad Angela Merkel.
Ma alle elezioni del prossimo 26 settembre la Kanzlerin non correrà e i Verdi sperano di poter recuperare di nuovo un po’ di punti. Se oggi tanti scommettono su un prossimo governo Schwarz-Grün (con il nero della CDU/CSU + i Verdi), tra i Grünen c’è chi non vuole ancora rinunciare all’idea di un governo Grün-Schwarz, cioè con i Verdi come primo partito. Altri sognano persino un improbabile esecutivo verde di sinistra (con SPD e Linke). Si tratta di scenari che permetterebbero ai Grünen di puntare addirittura al Cancellierato. Obiettivo certamente molto difficile, ma per cui i Verdi dovranno decidere comunque un candidato nei prossimi mesi, selezionando uno fra i due leader di partito. Dopo un primo momento in cui i liberal-ambientalisti sembravano sicuri di voler puntare su Robert Habeck, ora è emersa anche la potenziale candidatura della sua co-leader: Annalena Baerbock, 40 anni ma tanta esperienza politica (locale e nazionale). Habeck, 51 anni, è già stato ministro e vice-Presidente nel Land Schleswig-Holstein ed è un abile comunicatore che può contare su un particolare sostegno pubblico. Baerbock sembra però talvolta più pragmatica e più capace di evolvere all’interno di una leadership di governo. Per certi versi, Baerbock avrebbe anche l’opportunità di presentarsi narrativamente come un’evoluzione green e ultra-contemporanea della stessa Angela Merkel. Ai Verdi non piace infatti sentirselo dire, ma più passa il tempo e più sembra che siano proprio loro i veri eredi della Cancelliera. Eredità che potranno incarnare ovviamente a patto che scelgano una coalizione di governo centrista e non vogliano farsi altri 4 anni all’opposizione.
Da un sondaggio pubblicato dalla rivista tedesca di business Capital, a sostenere un governo Nero-Verde (quindi l’opzione a guida CDU) c’è oggi anche la maggioranza dei top-manager tedeschi (dati dell’Institut für Demoskopie Allensbach). Si tratta di un’evoluzione significativa: in passato lo stesso sondaggio tra i decision-makers economici evidenziava una preferenza per un governo più di destra, fatto da CDU/CSU più i liberal-liberisti di FDP. Se oggi invece il mondo della produttività e dell’export tedesco non vuole ancora un esecutivo soltanto in mano ai Verdi (di cui teme una svolta ambientale eccessivamente burocratica), auspica però un governo che assorba i Grünen nelle responsabilità dell’interesse economico nazionale (e sappia farsi contemporaneamente avanguardia di quel new green deal eco-produttivista considerato ormai irrinunciabile sul piano geoeconomico).
Comunque vada, per i Grünen il passaggio al governo da (co)protagonisti, seppur incoraggiato da più nodi dell’hard-power tedesco, non sarà semplice. Se tanti amano i Verdi, molti altri li vedono ancora come nemici (proprio nel senso schmittiano del termine). Da anni i Grünen si fanno portatori di una visione post-nazionale e multiculturale (insita in una filosofia di universalismo ambientalista) che piace agli ambienti liberal tedeschi e sembra demograficamente destinata a crescere nei consensi. Visione che è vissuta però come pericolosa dai settori più conservatori del paese, a partire da quelli che credono che la Germania debba tornare a una Leitkultur (cultura guida) di valori occidentalisti.
Ci sono poi altri dossier molto più concreti da risolvere per i Verdi, soprattutto sul piano geopolitico. I Verdi sono il solo partito tedesco completamente ostile al governo russo, un’impostazione che sarà sicuramente utile nel creare un nuovo asse transatlantico con la Presidenza USA di Joe Biden (asse che userà proprio l’ambientalismo in senso strategico). Impostazione che dovrà però fare i conti con le tendenze euroasiatiche della realpolitik economica tedesca (si vedano le posizioni della BDI, Federazione delle Industrie Tedesche, profondamente contrarie alle sanzioni americane contro il Nord Stream 2). Sul piano europeo, invece, l’europeismo da sempre idealisticamente entusiasta dei Verdi dovrà saper gestire le resistenze più euroscettiche dei tedeschi di fronte a ulteriori passaggi verso l’integrazione finanziaria dell’UE.
Pietra angolare definitiva delle complessità che dovranno eventualmente affrontare i Verdi al governo è infine il loro rapporto con il soggetto militare. L’atlantismo dei Grünen li porterebbe a sostenere la richiesta NATO di un maggiore investimento di Berlino nella difesa, ma la reciproca diffidenza ideologica che hanno con il mondo dell’esercito tedesco non gli permette di aprire un vero dialogo politico con la Bundeswehr. Al tempo stesso, l’europeismo porta i Grünen a sostenere l’idea di un’autonomia strategica europea, ma i Verdi non hanno ancora saputo definirsi davvero nella dimensione geostrategica chiesta da un player decisivo (e con ben pochi pudori militari) come la Francia di Macron.
La K-Frage dei Verdi verrà risolta tra aprile e maggio 2021 e sarà una questione interna alla stessa dirigenza di partito. Che venga candidato Robert Habeck o Annalena Baerbock, la scelta sarà comunque tatticamente orientata a rafforzare il più possibile la Regierungsfähigkeit, vale a dire l’abilità-capacità di governare e sviluppare quindi una propria grammatica del potere.
Olaf Scholz: da Apparatčik a wannabe leader
Di Alessandro Ricci
Quando a dicembre del 2019 la Messe di Berlino si riempì di bandiere rosse e sul palco si presentarono Walter Borjan e Saskia Esken come vorsitzender di Spd, in tutta la Germania ci fu l’impressione che quello del partito socialdemocratico tedesco potesse essere un balzo deciso a sinistra.
Poco dopo un anno i socialdemocratici hanno scelto Olaf Scholz come candidato alla cancelleria, l’esponente più rilevante dell’ala conservatrice, evidenziando come il partito sia profondamente diviso in due anime, una che guarda a Die Linke (la sinistra) e una più conservatrice. Come si direbbe in gergo: una di lotta e una di governo.
La corsa di Olaf Scholz, ex sindaco di Amburgo e vice Cancelliere dell’attuale governo Merkel IV è sicuramente un passo a destra e dimostra la confusione di un partito che, sebbene sia scampato alla pasokification, è ben lontano dalle percentuali di qualche anno fa e si attesta, oggi, in una forbice di consenso tra il 15%-17%(FORSA).
Tutta la confusione del partito è riconoscibile nel percorso politico e nel profilo personale dello stesso Scholz. Il candidato Cancelliere Spd, infatti, ha un trascorso giovanile nel marxismo-leninismo e ha poi attuato uno spostamento ideologico verso una visione securitaria e autoritaria nella gestione dell’ordine pubblico della città di Amburgo quando ne era sindaco (pur mantenendo un’idea ortodossa socialdemocratica dal punto di vista economico).
Nella città anseatica, ricordano Scholz per il suo: “non ci sono state violenze durante il G20 del 2017” e per aver autorizzato l’utilizzo di emetici da parte della polizia sugli spacciatori. A Berlino, invece, il Ministro delle finanze verrà ricordato come colui che, di fronte alla pandemia, ha deciso di ribaltare la politica economica tedesca grazie al superamento dello Schuldenbremse e dello Schwarze Null, in poche parole iniziando a fare deficit e debito.
Olaf Scholz attualmente è il terzo politico più popolare in Germania, dopo Angela Merkel e Jens Spahn, il che sicuramente lo incoraggia per le prossime elezioni del settembre 2021. Ma per la campagna elettorale a venire Spd dovrà affrontare un dilemma: come partner di coalizione difendere la politica del governo ma, allo stesso tempo, distinguersi come sfidante di Merkel.
Scholz ha cominciato facendo opposizione interna al proprio governo su vaccini e spesa, perché è ormai chiaro che, nonostante il 15% nei sondaggi, i socialdemocratici non vogliono un’altra Große Koalition, dalla quale ad ogni legislatura escono sempre più ammaccati. L’elezione di Armin Laschet alla guida di Cdu non ha certo aiutato Spd. I socialdemocratici avrebbero potuto sfruttare una polarizzazione del dibattito politico così da stimolare i sondaggi e favorire una coalizione tutta a sinistra, con l’arrivo sulla scena di Friedrich Merz, candidato conservatore Cdu. Invece, la Spd si ritrova ora a sfidare un moderato come Laschet che punta ad essere l’onda lunga del merkelismo.
Quindi, per cercare di affermarsi in questi mesi i socialdemocratici hanno scelto una triade di concetti: rispetto, futuro ed Europa. Lavoro che sta per tutele e garanzie, futuro che sta per digitalizzazione ed un’Unione Europea unita e sovrana che sta per lotta al cambiamento climatico e una certa capacità d’indipendenza rispetto a Cina e Usa. Bisogna però notare che per quanto riguarda queste parole della Spd, la più grande competizione viene dal partito dei Grünen che sembra più preparato a raccogliere il voto della sinistra europeista.
Cercando di riposizionarsi politicamente sia socialdemocratici che Verdi hanno dei punti in comune: superare Hartz IV (il sussidio di disoccupazione), fare più debito per stimolare la domanda interna, e una redistribuzione delle risorse (sul tavolo potrebbe esserci anche una patrimoniale).
La vera differenza tra Spd e Grünen è però sulla politica estera. Spd si è spesso posizionato come garante della Ostpolitik ed è favorevole ai rapporti e agli affari con la Russia. Il dibattito sul Nord Stream 2, il raddoppio del gasdotto che passando dal mar Baltico porterà il gas del Cremlino direttamente in Germania, potrebbe diventare il vero nodo da sciogliere. (Proprietaria della pipeline è la società di stato russa Gazprom nel cui board di amministrazione è presente l’ex Cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder.)
Mentre i Grünen sono fortemente contrari al proseguimento del progetto Nord Stream 2, la Spd è stata sempre piuttosto possibilista, accarezzando una fetta dell’elettorato ancora affezionata a Mosca e lanciando solo deboli moniti contro il Cremlino attraverso il ministro degli esteri Heiko Maas (nel caso Navalny, il ministro cercò di scaricare la responsabilità di una decisione sull’Ue).
Ora che una soluzione europea c’è, con il voto dell’Europarlamento per il congelamento dei lavori del Nord Stream 2, avvenuto il 21 gennaio, le carte sono scoperte. I Verdi hanno votato per fermare la costruzione della pipeline russo-tedesca, la Spd ha votato contro. Una cosa intanto è certa: Olaf Scholz, aka Scholzomat (chiamato così per il suo utilizzo sistematico delle stesse parole nelle conferenze stampa), da Apparatčik dovrà trasformarsi in leader, per rivitalizzare un partito che ha perso di fatto l’anima del Volkspartei. Herr Scholz per giocare da cancelliere dovrà cercare di fare, sul proprio partito, lo stesso lavoro che fece su stesso: passare dalle accuse contro la “NATO aggressivo-imperialista” all’accettazione dell’atlantismo, portando la Repubblica Federale ad essere ciò che lui, un tempo, criticava aspramente: "roccaforte europea del grande business”.
Anche altri partiti hanno i loro candidati Cancellieri e non abbiamo ovviamente ancora analizzato tutte le possibili coalizioni di governo. Ma di queste e tante altre cose parleremo nelle prossime settimane. A presto!
Se ti è piaciuta la prima uscita spargi la voce:
Se invece questa mail ti è stata inoltrata iscriviti qui:
©Riproduzione Riservata